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Canone Rai, addio entro 5 anni: il ddl della Lega

Canone Rai, addio entro 5 anni: il ddl della Lega

Roma – “Una progressiva riduzione dell’importo del canone Rai, con un taglio a cadenza annuale del 20 per cento, fino al suo totale azzeramento” e anche la ridefinizione “univoca” del concetto di servizio pubblico (“indispensabile per mantenere e affermare i valori culturali e sociali e difendere, al contempo, le identità locali”), pensando anche a un nuovo canale “interamente dedicato alla trasmissione di programmi e rubriche di promozione culturale, nel quale non possono essere trasmessi spot”. E’ quanto previsto nella bozza del ddl leghista dal titolo ‘Modifiche al testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici in materia di servizio pubblico radiofonico, televisivo e multimediale, riduzione e abolizione del canone di abbonamento e disciplina della società concessionaria del servizio pubblico’, presentato in Senato dal partito di Matteo Salvini.

La Rai dunque deve cambiare volto, a partire dal canone che “risulta oggi anacronistico e ingiusto, in quanto è dovuto per la semplice detenzione di apparecchi atti o adattabili a ricevere un segnale”, come si legge nella bozza provvisoria del testo. Per la Lega si deve prevedere – come aveva avvertito lo stesso Salvini in campagna elettorale, lo scorso settembre – un percorso che porterà entro 5 anni all’abolizione del canone. Inoltre, a proposito del canone, viene previsto che già oggi “laddove sussista ancora oggi l’impossibilità di accesso alla rete o l’impossibilità di fruizione del servizio da parte degli utenti per motivi estranei alla propria volontà, il pagamento del canone di abbonamento non è dovuto”.

Sul tema della ridefinizione dei ruoli del servizio pubblico i leghisti sottolineano come “il servizio radiofonico, televisivo e multimediale è un servizio pubblico indispensabile per mantenere e affermare i valori culturali e sociali e difendere, al contempo, le identità locali”. La Lega chiede “un’informazione fruibile e condivisibile offerta tramite televisione, radio e altri dispositivi multimediali diffusa attraverso le diverse piattaforme che risponda, prioritariamente, ai compiti di libertà, completezza, obiettività e pluralismo dell’informazione, nonché di valorizzazione delle identità locali e delle minoranze linguistiche”. Un articolo poi elenca le tipologie di trasmissioni da programmare tra cui quelle “idonee a comunicare al pubblico una più completa e realistica rappresentazione del ruolo che le donne svolgono nella vita sociale, culturale ed economica del Paese, nonché nelle istituzioni e nella famiglia, valorizzandone le opportunità, l’impegno e i successi conseguiti nei diversi settori, in adempimento ai principi costituzionali”.

Si punta anche a ‘marcare’ i programmi: “La società concessionaria rende riconoscibile per i telespettatori, in modo agevole e immediato, il pubblico interesse del programma inserendo la frase ‘Programma finanziato con il contributo del canone’ all’inizio, alla fine o nel corso di ciascuna trasmissione”. “Possono derogare a tale obbligo i telegiornali, intesi come notiziari nazionali e regionali con programmazione quotidiana e straordinaria, compresi quelli diffusi dal canale tematico di informazione”, si legge ancora nel testo.

L’articolo 5 riorganizza poi la governance della Rai-Radiotelevisione italiana Spa. “Si prevede innanzi tutto un’estensione della durata temporale della concessione fino a dodici anni per dare continuità e certezza. Con lo stesso spirito, si estende a cinque anni il mandato dei membri del consiglio di amministrazione e si prevede che non possano ricoprire tale incarico per più di due mandati consecutivi. Si prevedono 7 membri del Consiglio d’amministrazione: il presidente e l’amministratore delegato, nominati con decreto del Presidente della Repubblica, 4 membri eletti dalla Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi e uno designato dall’assemblea dei dipendenti della Rai”. Infine i leghisti puntano a un “contenimento dei costi e di garanzia sulle responsabilità editoriali, che non si possa esternalizzare più del 30 per cento delle produzioni, organizzazioni e realizzazioni di trasmissioni”. (fonte Adnkronos)

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